A Monza, in occasione della quarta tappa del GT World Challenge Europe ho avuto l’occasione di scambiare due chiacchiere con Andrea Bertolini ripercorrendo la sua carriera da pilota, dall’inizio alla fine, attraverso ricordi ed emozioni che questo sport gli ha regalato in questi 25 anni di carriera.
Lo storico autodromo italiano ha fatto da cornice all’ultima gara di Andrea. Una scelta che il pilota non ha fatto a caso o solo perché gara di casa. Quindi, perché proprio Monza, saltando così una gara importante come la 24 Ore di Spa?
“Perché esattamente come 25 anni fa, ci crediate o no, io corsi a Monza, corsi tutto il campionato ma non a Spa perché ci voleva un extra budget. Un team Porsche mi diede la possibilità di correre tutto l’anno, ma nel mio contratto non era prevista Spa. Quindi, è esattamente tutto come 25 anni fa e questa cosa non lo sa nessuno, perché non l’ho detto a nessuno”
Ci ha confessato Bertolini, nominando Porsche perché, anche se oggi lui ha la tuta rossa con il cavallino sul cuore ed è seduto sul sedile di una Ferrari, 25 anni fa iniziava con una vettura del marchio tedesco.
“[…] perché la cosa assurda è che io debutto nel mondo delle GT con una Porsche.”
Ma per quale motivo Andrea ci parla di cosa assurda? Perché mentre lui iniziava la sua carriera come pilota su una Porsche, era già impegnato nella famiglia di Ferrari. All’epoca dovette chiedere il permesso, quindi, per poter guidare una vettura di un altro marchio, permesso che gli fu concesso dall’allora direttore tecnico Amedeo Felisa.
“Mi disse di sì, di prendere dei giorni di ferie. Io credo anche che forse lui non ci credesse neanche. Però la cosa incredibile è che dopo tre gare mi richiamò e io dissi ‘ok adesso mi licenzia dato che ha realizzato davvero che è tutto vero’ e invece mi disse che stavano valutando di far nascere un reparto dedicato alle vetture GT da competizione, che non era Formula 1”
Ferrari e Maserati: più di una famiglia
Nacque così, non solo un nuovo progetto di Ferrari, ma anche una nuova opportunità per Andrea Bertolini. Da un’idea partita con 4-5 ingegneri, debuttano con la Ferrari 360 Challenge e da lì la carriera di Andrea prende il via. Arriva la chiamata di Jean Todt per collaudare le Formula 1, seguita poi dalla richiesta di partecipare allo sviluppo della MC12 del campionato GT1 con Maserati. Tutto questo nell’arco di 12 mesi che hanno decisamente cambiato la vita del pilota di Sassuolo. Un inizio che lui definisce qualcosa di bello e unico. Da lì parte il suo viaggio con Maserati, all’epoca sotto la gestione di Ferrari. Un percorso molto importante nell’ambito GT vissuto insieme a Giorgio Ascanelli colui che più gli ha insegnato in Maserati, per poi tornare a Maranello. Gli ho chiesto cosa rappresentino per lui questi due nomi dei marchi italiani che gli hanno cambiato la vita, Ferrari e Maserati. Appena gli faccio questa domanda, dai suoi occhi, capisco che per lui non sono solo due nomi, e le sue parole me lo confermano:
“Non sono nomi per me, sono la mia famiglia. Nel senso che sono cresciuto in Ferrari con un percorso unico. Unico per l’evoluzione che ha avuto, poi mi hanno chiesto di seguire il progetto nel 2002 […] sono stati anni belli: tanti campionati, tante emozioni. Ma soprattutto tu mi hai chiesto cosa rappresentano questi due nomi, e ti ho detto che per me sì, molti utilizzano la parola famiglia, ma credo che per me rappresentino qualcosa di più.”


Nelle parole di Andrea si percepisce la tanta gratitudine nei confronti di questi due marchi. La riconoscenza di aver creduto in lui quando era ancora un ragazzino, dandogli la possibilità di vincere 10 campionati internazionali. La sua gratitudine però non si ferma dentro Fiorano, ma nasce tra le mura di casa sua, verso i suoi genitori: i primi che gli hanno permesso di iniziare la sua carriera.
“Ferrari mi ha dato la possibilità di fare quello che ho fatto, perché i miei genitori avevano tanta passione e soprattutto mi hanno voluto trasmettere una passione. Non avevamo neanche le disponibilità economiche per fare un percorso, quindi senza la Ferrari, io non avrei fatto il pilota, è sicuro questo. Quindi dire cosa rappresentano… per me [n.d.r. Ferrari e Maserati] sono tutto.”
Dai primi sogni sulle spalle del papà ai primi giri a Fiorano
Andrea da piccolino, essendo nato e cresciuto a Sassuolo a pochi chilometri da Fiorano, era spesso con suo padre a guardare i piloti aggrappato alle reti della pista o proprio sulle spalle del suo papà, figura che gli ha trasmesso questa passione.
“Mi ricordo il mio papà mi prendeva in spalla per cercare di veder meglio dalla rete all’ora c’era Villeneuve, Tambay…”
Ma cosa direbbe l’uomo che è diventato oggi a quel bambino di sei anni? Gli occhi di Bertolini si fanno ancora più lucidi a questa domanda, forse nella sua mente ripercorre quei momenti in kart con suo papà. Riconosce i sacrifici -che gli hanno permesso di arrivare dove è oggi- fatti dalla sua famiglia, che il bambino che era all’epoca non percepiva con la stessa maturità e consapevolezza di oggi. “Sono cose che mi emozionano” confessa, poi continua:
“Vorrei dire ad Andrea bambino che ha avuto la fortuna di avere dei genitori che gli hanno sempre trasmesso il metodo, la determinazione, l’educazione, che gli hanno permesso di sognare. Io sognavo tantissimo e continuo a farlo anche oggi”




L’inizio con i kart, racconta Berto, è arrivato grazie a suo papà e alla sua volontà di trasmettere una passione al figlio:
“Mio padre mi voleva dare una passione, ma perché se hai una passione è molto più semplice nella vita di tutti i giorni. Forse certe distrazioni, chiamiamole così, non le subisci, perché hai quella passione lì. Però vedi forse mio papà sapeva che potevamo fare qualcosina nei go-kart, ma andare oltre diventava difficile. Per lui era importante darmi una passione più che altro, i miei non hanno mai pensato che potessi diventare pilota, a differenza di tanti genitori oggi.”
Un’emozione forte per il pilota Ferrari è stato il suo primo giro sulla Formula 1 a Fiorano. Un giro che tra la concentrazione e l’adrenalina ha lasciato spazio all’emotività. Un giro che ha regalato l’emozione forse più forte di quella giornata nel momento in cui Andrea è passato al tornantino, dove andava sempre da bambino con il papà:
“C’ero io, cioè ero io dentro la macchina. Quindi è quello la bellezza poi dello sport, della vita in generale. Io dico sempre: sognare non costa niente, dobbiamo continuare a farlo […]. Ho pensato guarda qua la vita quanto è bella. Sì, che se me lo avessero raccontato avrei detto ‘impossibile’ neanche un film. Non capita a tutti e c’ero io, è stato bello bello bello.”
Ma se Andrea era adesso dall’altra parte di quella rete, suo padre è rimasto a guardarlo proprio dove anni prima accompagnava il figlio: sempre sul ponte, a guardare da fuori, nonostante gli inviti ad entrare a Fiorano, lui rimaneva fuori per non disturbare.
Ci sono anche i momenti difficili, ma mai smettere di sognare
Un mondo fatto di sogni che però sa essere anche crudele a volte. Ripercorrendo con Andrea Bertolini la sua carriera, a lui non piace soffermarsi solo sulle vittorie, confessa di avere in mente più i campionati che non ha vinto rispetto a quelli che invece lo hanno portato al successo.
“Mi ricordo di più e ho imparato di più dalle cose, purtroppo, che ho dovuto affrontare. Ci sono anche le sconfitte, tutti parlano sempre delle vittorie, io sì ho vinto tanto in 10 campionati, ma ho perso anche tanto.”
Ci tiene a sottolineare che ci cono anche i momenti difficili, quando non hai la certezza di quello che sarà, ma non devono essere questi a fermarti. Andrea ammette che anche lui ha attraversato momenti complicati. Quando, ad esempio, ancora quindicenne si è sentito dire da suo padre che doveva smettere di correre sui go-kart perché non avevano più le possibilità economiche. L’anno prima aveva smesso suo fratello, così da poter permettere a lui di continuare, ma era bastato solo a farlo correre un anno in più.
“Ho passato una settimana a 15 anni a piangere tutti i giorni in casa, io lo racconto perché da fuori sembra sempre tutto bello, invece no.”
Dice quindi che è proprio nei momenti bui dove ha fatto degli step in avanti importanti, nelle situazioni difficili. Dopo quel periodo, passato in camera sua, tra le lacrime, l’Andrea adolescente ha dovuto reagire, così iniziò una nuova carriera in pista, su piste diverse e con un mezzo diverso. A 16 anni il pilota italiano non è più pilota di kart, ma di moto nei campionati enduro. Una carriera nel mondo a due ruote che però dura poco, fino a quando non capisce che a lui mancavano troppo le 4 ruote ed era quella la strada che voleva seguire, era quello il suo vero amore.
Il campionato del 2005
Bertolini torna così sulla sua amata strada delle 4 ruote, nella quale vivrà tantissime emozioni. Parliamo del suo primo campionato vinto che non si scorda mai, delle vittorie con Louis Machiels, ma quello che gli ha lasciato le emozioni più forti sono state le cose negative. Andrea racconta nello specifico un evento accaduto nel 2003, quando lui e Fabrizio De Simone persero il campionato con Ferrari per un problema meccanico. Poi nel 2005, quando era primo in classifica, arriva in Bahrain dove gli sarebbe bastato chiudere la gara quarto per vincere il campionato. È in testa alla corsa quando si rompe un pezzo del cambio che era appena stato sostituito e tutti i sogni fino a quel momento vanno in frantumi. Descrive quel momento come uno dei più difficili della sua carriera.
“Perché ti giuro ho visto la gente piangere i meccanici, il cambista… e mi dovetti ritirare, persi il campionato. Ma perché mi ricordo quel momento lì, perché fu una delusione talmente forte che andai in una tribuna di quelle deserte lì in Bahrain, da solo, a sfogarmi e mi era venuto anche un dubbio nella mia testa. Come diceva Enzo Ferrari ci sono i piloti veloci e sfortunati che non vincono e poi ci sono quelli fortunati.”

Un momento che fa riflettere molto Andrea, un momento di forti dubbi. Dopo il campionato del 2003 perso per un problema meccanico, Bertolini si trova nella stessa situazione. Nel 2005 il pilota italiano non ha ancora vinto nessun campionato e questo lo porta a farsi molte domande sulla sua carriera.
“Mi sono detto sta a vedere che faccio parte della categoria di quelli veloci e sfortunati, il che era un bel problema. Quindi quel giorno lì me lo ricordo, essere da solo seduto in questa tribuna deserta a pensare a militare… poi da lì dai è scattato qualcosa da dire ok non ci credo a ‘sta roba qua, continuiamo a spingere continuiamo a lavorare”
Arriva però, finalmente, nel 2006 quella vittoria di campionato tanto attesa. Un campionato vinto che è servito a dargli quella carica in più.
“Poi da lì dopo gli altri sono venuti in modo ancora più, lasciami dire, facile. Perché io dico sempre, anche con i nostri ragazzi, vincere aiuta vincere e quando fai uno sport come il nostro e vinci, come ti dicevo, dà consapevolezza che lo puoi fare. Ti viene tutto più naturale perché tendi sempre a voler dimostrare che lo puoi fare e quando l’hai fatto ti toglie anche quel peso lì. Cioè tu hai dimostrato che riesci a vincere ed è una bella leggerezza.”



Una normalità speciale per Andrea
Svegliarsi il lunedì mattina e andare in pista a Fiorano, perché quella è la sua quotidianità. Andrea Bertolini, ha preso la decisione di ritirarsi dalle corse automobilistiche, ma questa sua normalità speciale rimarrà nella sua vita di tutti i giorni.
“Parliamo del mio ritiro dalle gare, sì sono arrivato prende questa decisione, ma onestamente non mi cambierà più di tanto, perché ho la fortuna di guidare delle macchine da sogno, delle macchie da corsa, e di continuare lo sviluppo anche dopo il mio ritiro dalle corse.”
Bertolini ci tiene a evidenziare che nel quotidiano continuerà a fare quello che ha sempre fatto: guidare macchine da corsa. A lui non spaventa questo saluto alle corse automobilistiche, proprio perché non smetterà di guidare, anzi, dice che molto probabilmente sarà in macchina più di prima avendo più tempo per i collaudi e lo sviluppo.
Andrea ha fatto il suo primo shakedown su una Formula 1 nel 2001. 20 anni dopo ha raggiunto il test-day su queste vetture numero 500, ad oggi è a quota 567. Parliamo della ‘fortuna’ che ha avuto in questi anni di poter essere parte dello sviluppo di prototipi, macchine challenge, Formula 1, GT, Hypercar, vetture che gli hanno dato ogni giorno la possibilità di imparare e vivere qualcosa di nuovo.
“Più che altro sai cos’è importante? Svegliarsi alla mattina andare in pista e sapere che è una giornata nuova con qualcosa di nuovo e quella è la fortuna che ho sempre avuto nella mia vita: che le mie giornate sono tutte diverse, super impegnative con qualcosa di nuovo dove ogni giorno ho imparato ho scoperto qualcosa in più.”



“Le Mans 2023 mi emoziona ancora”
Una delle vetture che Andrea ha avuto il privilegio di testare e partecipare al suo sviluppo è la 499P, prototipo sceso in pista per la sua prima gara nel 2023 e, ad oggi, vincitrice di Le Mans ben due volte su due partecipazioni. Andrea scherza su una battuta che gli è stata fatta da Amato Ferrari:
“Una volta mi ha fatto una battuta Amato, mi fa: ‘pensa se l’avessimo fatta 15 anni fa, che saresti stato in macchina’ è vero sì, ma mi ritengo ancora fortunato di far parte di questo gruppo. Ne parlai anche con Antonello, di emozioni sportive ho avuto la fortuna di provarne tante. […] Se potessi riavvolgere il nastro, ma magari avessi 15 anni di meno e correre oggi con l’Hypercar.”
Parliamo ancora di emozioni, un tema ricorrente durante questa intervista. Andrea mi racconta della fortuna di condividerle le emozioni e mi confida che una delle più forti che ha avuto dall’esterno nella sua carriera, ad oggi, è la vittoria di Le Mans 2023.
“Quella mi emoziona ancora, per tutto il percorso di avvicinamento a quella gara, sviluppo della vettura, le telefonate con i piloti. Sai è stata una bella sfida. Eh pronti via iniziare così, vincere il primo anno è stato un qualcosa di speciale e quasi si potrebbe fare un film, ti giuro che non mi sono mai emozionato così tanto.”
In quel momento di festeggiamenti Bertolini stava condividendo il garage con Antonello, Amato, Galliera, e insieme hanno pianto dalla felicità e dall’emozione, un momento che rimarrà sempre con il pilota italiano proprio perché lo ha vissuto con delle persone per lui speciali.
“Quindi ti dico, mi lego molto di più alle persone e ci tengo molto di più al rapporto con le persone. Quindi alle emozioni che condivido con le persone, rispetto alle emozioni che provo io, perché quando hai la fortuna di condividerle, secondo me, le emozioni sono ancora più intense.”
Il rapporto con le persone rimane per Andrea uno degli aspetti più belli di questo sport e, proprio quando gli chiedo cosa secondo lui ‘era meglio prima’ nel motorsport, mi risponde che è cambiato il rapporto tra le persone. Il rapporto tra i piloti, i meccanici, ma ci tiene a sottolineare che nel box di AF Corse questo non è mutato definendola una squadra old style sotto questo punto di vista.
Il motorsport oltre il paddock
Andrea ha iniziato da piccolissimo. Ha detto che per suo padre il kart era anche un’attività per tenerlo lontano dalle distrazioni. Io penso che ogni sport oltre all’aspetto competitivo ti insegni qualcosa, proprio per questo motivo gli ho chiesto cosa pensa che gli abbia insegnato la sua carriera, però fuori dal paddock. Bertolini sorride sentendo questa domanda, capisco quindi che il suo percorso ha lasciato in lui qualcosa di importante.
“Mi ha insegnato sicuramente che per ottenere le cose niente arriva dal cielo. Mi ha insegnato la dedizione al lavoro, l’impegno e a cercare soprattutto ogni giorno di dare 110% di noi stessi”
Mi parla dell’importanza di essere sé stessi sempre, di dare il meglio, ma soprattutto di arrivare alla fine della giornata e non utilizzare mail l’espressione “e se…” perché, secondo lui, se hai dei rimpianti allora vuol dire che quella cosa non l’hai fatta bene. È diverso invece chiedere aiuto, perché in quel caso allora vuol dire che tu hai fatto il tuo massimo e vuoi migliorarti.
“Non usare mai o pensare la parola “se avessi fatto” perché se utilizzi quella parola lì vuol dire che non hai dato il meglio di te e sei un perdente sicuro. […] Vedere di ottimizzare sempre le cose, perché sono i dettagli che fanno la differenza, ma in tutte le cose. Quello mi ha dato tanto e poi la passione torniamo sempre lì. Se tu vivi una vita con passione nel quotidiano è bello.”
Il confronto con i giovani piloti, questo è quello che mantiene Andrea giovane
Una delle cose, lavorativamente parlando, che da più soddisfazione ad Andrea Bertolini è proprio quella di affiancare i giovani piloti. Lui è da sempre una figura di riferimento per i ragazzi, gli ho quindi chiesto se gli piacerebbe continuare a farlo.
“Mi piace. Proseguirò. Farò quello che mi verrà chiesto, se tra varie cose che dovrò fare ci sarà seguire i ragazzi, è chiaro che la risposta è si, perché è una delle cose che adoro che amo fare […]. Anche con tutti i nostri piloti ufficiali c’è un rapporto unico, quando c’è qualcosa che non va sono i primi che mi chiamano, mi raccontano, si aprono, io gli voglio bene, per me sono tutti dei figli, per questo motivo è una cosa che sogno di poter proseguire”
Andrea ama il confronto con i ragazzi, dice che è una cosa che lo fa stare bene, che lo mantiene giovane. Gli piace scovare nuove promesse di questo sport, andare a capire se c’è qualche ragazzo che merita per poi parlarne con Coletta.
“È successo con tanti ragazzi che li abbiamo seguiti, ci siamo confrontati e oggi fanno parte dei nostri piloti ufficiali. Sì è una cosa che adoro, ma davvero tanto.”
Il privilegio di poter decidere quando smettere
A Monza è un weekend di festa per il pilota Ferrari che confessa di avere tante idee per il futuro. Idee che quotidianamente confronta con Antonello Coletta, con cui ha un rapporto lavorativo di 28 anni. Ci tiene a sottolineare il privilegio e la fortuna di avere la possibilità di confrontarsi con lui e con Amato Ferrari. Sa che oltre il lavoro c’è un’amicizia:
“dopo tutti questi anni, senza di loro mi vedrei per perso”.
Andrea sottolinea il privilegio che ha avuto nel poter decidere lui quando smettere. Perché questo sport, come dice lui, spesso ti presenta delle situazioni in cui sono gli altri a farti capire che è arrivato il momento di dire basta, oppure sono proprio loro a deciderlo. Invece, nel suo caso, erano le persone che lo circondano a spronarlo a rimanere ‘un anno in più’.
“Sono loro che mi dicevano “dai un altro anno” poi un altro quello è un booster micidiale ed è quello che ha fatto la differenza per ad andare avanti per altri due o tre anni, perché quando ti senti dire “dai fa un altro anno” da Amato, da Antonello da Louis come fai a dirgli di no, cioè mi carica questa cosa qua.”

Oggi per lui è un vero privilegio poter decidere che è il momento di fermarsi e, come dice lui, non capita a tutti. Oggi non parliamo di “appendere il casco al chiodo”, infatti, Andrea ci tiene a sottolineare che molto probabilmente sarà in pista ancor più di prima. Mi racconta del legame speciale che ha con questo casco e che continuerà a stare in pista finché riuscirà a dare un contributo dal lato sviluppo.
“Ci sarà anche un passaggio graduale ad altre situazioni, ad altri incarichi che mano mi porterà a capire quale sarà il migliore in base a quello che posso dare nei vari nei vari ruoli […], deve essere una cosa molto naturale, non da dire dall’oggi al domani.”
Oggi si chiude la sua carriera da pilota, ma Andrea Bertolini attraverso le sue parole ci ha fatto capire che non è un addio al mondo delle corse, semplicemente cambierà ruolo e continueremo a vederlo nel paddock e in pista per ancora molto tempo. Intanto possiamo solo dirgli grazie per tutto quello che ha fatto in questi anni per il Motorsport italiano e non solo.



Tutte le foto utilizzate (dove non specificato) sono state prese dal sito ufficiale del pilota.