Con l’avvicinarsi dell’appuntamento più importante della stagione del World Endurance Championship, ovvero la 24 ore di Le Mans, abbiamo avuto il piacere di fare una chiacchierata con Antonello Coletta, Head of Endurance e Corse Clienti di Ferrari, nonché la mente dietro allo straordinario percorso intrapreso dal Cavallino rampante nella categoria.
Antonello ci ha raccontato i “dietro le quinte” del suo lavoro e del progetto Hypercar della scuderia di Maranello, fiore all’occhiello di una divisione affiatata ed ambiziosa.
Abbiamo avuto modo di approfondire il suo ruolo all’interno di Ferrari e di analizzare l’impegno della squadra nella rinascita del World Endurance Championship, che sta finalmente tornando in auge dopo un periodo di estrema difficoltà.
Non sono inoltre mancati anche spunti su piloti e visione a lungo termine del progetto: insomma, un viaggio completo nel cuore pulsante del programma endurance della leggendaria scuderia italiana.

Puoi raccontarci nel dettaglio il tuo ruolo all’interno di Ferrari e di cosa ti occupi quotidianamente?
È abbastanza complicato perché facciamo tante cose. Di fatto sono il responsabile di tutte le attività sportive della Ferrari al di fuori della Formula 1.
Nella nostra divisione siamo divisi in due grandi “famiglie”, endurance e corse clienti.
Andiamo a vedere prima corse clienti: quest’ultima, come dice la parola stessa, si occupa di gestire i clienti sportivi negli ambiti da noi organizzati. Questi programmi comprendono corsi di pilotaggio, che si svolgono un po’ in tutto il mondo, ed il Ferrari Challenge, che si divide in due serie continentali – Europa e Stati Uniti – e varie serie “regional”.
Il nostro è forse il monomarca più longevo, essendo nato nel 1993, per cui abbiamo ampiamente superato i trent’anni di attività.
Oltre al Ferrari Challenge abbiamo anche una serie di programmi non competitivi, che sono molto specifici e che Ferrari ha creato da zero tra cui Corse Clienti, dove i clienti possono acquistare vetture degli anni passati che hanno disputato i mondiali di Formula 1 e grazie alla nostra organizzazione tecnico-sportiva fanno dei “trackdays ” in pista.
La stessa cosa succede con i programmi XX, dei quali fanno parte macchine omologate solo per la pista basate su supercar come la Enzo, la LaFerrari o la 599. Anche queste vetture fanno solo trackdays in ambito non competitivo.
L’ultima creatura è stata la Sport Prototipi Clienti, un programma basato sulla 499P Modificata, che rispetto alla 499P “base” presenta differenze a livello software, di pneumatici, e vari particolari che la rendono più adatta all’uso del cliente sportivo. Anche per il programma Sport Prototipi Clienti organizziamo dei trackdays, che si svolgono nelle stesse giornate dei programmi XX e F1 Clienti.
Un programma simile ma che si svolge in giornate differenti è il Club Competizioni GT, dove il cliente può venire in pista con una vettura GT da competizione, partendo dalla F40 ed arrivando fino alle auto dei giorni nostri. Anche per questo programma abbiamo creato una macchina ad hoc, la 488 Modificata, basata sulla 488 GT3 ma senza BoP. La base è quindi una GT3 alleggerita e con un motore GTE molto più potente. Una macchina sicuramente molto divertente per chi ha avuto l’opportunità di guidarla considerando che, come tutte le altre che ho citato prima, è prodotta in tiratura limitata.
Questo è tutto il mondo Corse Clienti, al quale si affianca il mondo endurance, quindi tutto l’ambiente competitivo a tutti gli effetti.
Questo si divide a sua volta in GT3, basato sulla 296, modello completamente progettato e prodotto da noi e del quale ci occupiamo anche del supporto post-vendita, quindi il cliente, che può essere un team così come un privato, viene seguito dalla A alla Z nelle varie competizioni a cui queste vetture prendono parte.
Nell’ambito endurance il “pinnacle” di tutto è sicuramente la 499P, che partecipa al mondiale endurance, dove siamo ritornati nel 2023 dopo 50 anni di assenza. Qui partecipiamo ufficialmente con due macchine ed in forma privata con una terza, tramite AF Corse.
Oltre a tutto questo, sempre di competenza della nostra direzione c’è anche la gestione dei circuiti di proprietà di Ferrari, quindi Fiorano e Mugello.
Come dicevo prima quindi le nostre attività sono molte, ma si può riassumere con “tutto ciò che è pista ma che non è relativo al mondiale di Formula 1”

Rimanendo sull’aspetto del WEC, a tuo avviso, possiamo dire di essere in una nuova “golden era” del campionato e dell’endurance in generale, dopo un periodo di difficoltà seguito alla fine dell’era LMP1?
Sicuramente è un momento eccezionale, addirittura potremmo parlare di una “platinum era”, perché così tanti costruttori non ci sono mai stati. Venivamo da un periodo molto difficile per la categoria, probabilmente anche per motivi legati agli alti costi di gestione dei programmi LMP1 e non era rimasto quasi più nessuno.
Questa nuova formula invece è stata creata recentemente da FIA e ACO, gli organizzatori del campionato, e ha sicuramente portato ad una rinascita molto importante: attualmente ci sono alcuni tra i più importanti marchi automobilistici mondiali e nel giro di pochi anni diventeremo 11.
Già dal 2023 si sono aggiunti molti costruttori, alcuni sono già usciti dal programma ma molti altri stanno arrivando.
Nell’insieme è un campionato incredibile e, pur nella sua natura endurance, quando uno spettatore vuole vedere una gara ha l’opportunità di vederle sempre combattute fino all’ultimo, basti vedere l’anno scorso a Le Mans, con 9 vetture in top 10 nel giro del leader. Questo vuol dire che il livello di competitività di oggi è altissimo e fa si che la categoria abbia molte attenzioni, e ciò è confermato dai numeri: a Spa abbiamo avuto oltre 100 mila spettatori, mentre a Imola abbiamo avuto riscontri in termini di pubblico estremamente positivi nonostante fosse il weekend di Pasqua.
A questo si aggiunge poi Le Mans, che vive di luce propria, ma in generale ovunque si vada i numeri stanno crescendo molto.
Il ritorno di Ferrari nella categoria madre del WEC ha portato molta attenzione sul campionato; quali sono state le motivazioni alla base della decisione di intraprendere il progetto 499P?
Ferrari ha avuto un ruolo molto importante nella rinascita del campionato per due motivi.
Il primo motivo è che siamo tornati ad essere attori protagonisti nella classe regina del mondiale endurance dopo mezzo secolo di assenza, e sappiamo tutti quanta attenzione attiri qualsiasi cosa legata a Ferrari.
Inoltre, tutti i brand vogliono cercare di battere la Ferrari, e questo ha portato ad un ritorno di tanti costruttori che a loro volta mancavano nella categoria da molto tempo.
Per rispondere alla seconda domanda, cosa ha spinto Ferrari a tornare: sicuramente il fatto che la nuova categoria, che si stava affacciando proprio nel momento in cui abbiamo preso la decisione, risulta meno impegnativa dal punto di vista economico rispetto alla precedente, ma allo stesso tempo molto interessante sotto il profilo tecnologico.
Abbiamo l’opportunità di testare diverse soluzioni innovative che poi possono essere messe sulle vetture stradali, quindi la formula attuale dell’endurance è un’ottima “palestra” per poter innovare.
Inoltre, non bisogna dimenticare che Ferrari ha un suo DNA che nasce con le corse endurance: già dalla sua fondazione, la sua storia ed il suo mito sono cresciuti grazie alle tante vittorie nelle gare di durata ed è un aspetto che vogliamo valorizzare.
Questo “cocktail” di possibilità e soluzioni si è presentato in questo speciale momento storico ed abbiamo pensato che facesse al caso nostro e da lì abbiamo preso la decisione di tornare.
Inoltre, arrivavamo da numerose stagioni vissute da protagonisti nei campionati GT di tutto il mondo, nella fattispecie uscivamo da oltre dieci titoli mondiali vinti nell’arco di quindici anni, quindi il ritorno nella massima categoria dell’endurance rappresentava anche una logica evoluzione di quanto già stavamo facendo.

Che sensazione si prova nell’essere parte attiva della rinascita di una categoria che, fino a pochi anni fa, sembrava in crisi?
È indubbiamente una grande soddisfazione ed un grande onore, tutti noi che abbiamo il privilegio di far parte di questa squadra sappiamo di stare scrivendo delle nuove pagine di storia legate alla Ferrari.
L’ultima nostra vittoria alla 24 ore di Le Mans risaliva al 1965 e noi siamo tornati vincendo all’esordio dopo 58 anni, per poi riconfermarci anche l’anno successivo. Inoltre, abbiamo fatto molto bene anche nel resto delle gare, concludendo secondi nel 2023 e terzi nel 2024, dove alcune circostanze ci hanno impedito di fare meglio ma comunque siamo stati protagonisti. Quest’anno invece abbiamo vinto le prime tre gare del campionato, ma questo oltre che ad essere è un grande onore può essere anche un onere.
Bisogna sempre ricordarsi che quando si lavora per la Ferrari si è sempre stimolati a cercare di fare meglio e a non rilassarsi mai, anche se si è attori protagonisti di un periodo così positivo come quello che stiamo vivendo.
Rimanendo collegati al discorso della 24 ore di Le Mans, voi siete riusciti a vincere due edizioni consecutive, di cui una al debutto nella categoria, rappresentando un traguardo straordinario. Che impatto ha avuto questo risultato sulla squadra?
Sicuramente ha avuto un grande impatto, specialmente considerando che la nostra era una squadra quasi tutta nuova, per quanto molti elementi fossero cresciuti con noi nell’ambito GT.
Qui le competenze richieste sono più importanti e soprattutto più varie, quindi abbiamo dovuto ampliare enormemente la “rosa” dei componenti della squadra.
Per una squadra così giovane, impegnata in un progetto così ambizioso a difendere il marchio più prestigioso al mondo, riuscire a vincere la prima edizione della 24 ore – con una macchina che aveva solamente pochi mesi di sviluppo – è stata non solo una enorme soddisfazione, ma anche una conferma delle competenze che abbiamo a disposizione.
Ogni membro del team ha avuto la certezza di essere all’altezza del ruolo che sta ricoprendo e questo ha generato un grande spirito di squadra: abbiamo un gruppo di lavoro estremamente coeso e che è formato da diverse realtà, essendo formato dall’unione di Ferrari e AF Corse – team che si occupa di portare in pista la vettura.
Queste due entità si sono fuse assieme, generando questo splendido gruppo, e al 100% possiamo dire di essere diventati un team di riferimento per tutto il paddock del mondo endurance.
Restiamo in tema collaborazione con AF Corse: con l’introduzione della terza vettura – la 499P gestita da AF corse con la livrea gialla – ormai alla seconda stagione, quanto è strategicamente rilevante poter contare su un ulteriore prototipo in griglia, sia in termini di raccolta dati che nella gestione della gara?
È molto importante per una serie di fattori: in primis perché ci consente di avere una macchina in più su cui fare test di setup, gomme e consumo durante le prove libere.
Può essere di grande aiuto anche durante la gara, perché consente di differenziare maggiormente le strategie: avendo una terza macchina si possono provare in anticipo determinate idee strategiche che possono successivamente essere implementate sulle vetture ufficiali.
Inoltre, questa terza vettura ci consente anche di far crescere dei piloti, quindi sicuramente è un aiuto importante.
Proprio per questo Ferrari porta tre macchine completamente uguali tra di loro, nella stessa configurazione e con lo stesso potenziale: per far si che l’aiuto che deriva da questa terza vettura sia veramente concreto e non una presenza fine a se stessa per motivi commerciali.
Hai parlato adesso di crescita dei piloti. In questo ambito, quale è il ruolo del Ferrari Challenge come piattaforma di crescita per coloro che ambiscono ad entrare nei programmi ufficiali? Possiamo considerarlo come una vera e propria “scuola” prendendo come esempio il percorso di piloti come Nicklas Nielsen?
Nicklas è certamente il migliore esempio che si possa fare in questo senso: lui è nato e cresciuto sempre nell’ambito Ferrari, partendo dal Ferrari Challenge, per poi transitare nell’ambito GT3 e GTE fino alle Hypercar, passando anche tramite una esperienza in LMP2 durante la fase di formazione prima dell’esordio sulla 499P.
Il Ferrari Challenge è per noi fondamentale, è oltre trent’anni che lo organizziamo e Nicklas è la nostra punta di diamante. Oltre a lui ci sono stati tanti altri piloti usciti dal Ferrari Challenge, e anche se non tutti sono arrivati fino ai prototipi li abbiamo spesso visti protagonisti in vari campionati GT.
A mio avviso possiamo dire che il Ferrari Challenge è cresciuto tantissimo ed è un ottimo palcoscenico che consente ai piloti di crescere ed essere notati da Ferrari: noi siamo molto attenti ai giovani che prendono parte al nostro campionato e cerchiamo per quanto possibile di supportarli anche nel prosieguo della loro carriera, fornendo indicazioni sui team e guidandoli nella scelta per indirizzarli verso ambienti per loro positivi.
Crediamo molto nella crescita dei giovani che partecipano ai nostri campionati e speriamo che l’esempio di Nielsen funga da stimolo a chi oggi sta guardando al Ferrari Challenge come un possibile trampolino di lancio verso il mondo dell’endurance.

Una domanda un po’ più tecnica ora. Considerando la varietà di piloti coinvolti nei programmi ufficiali, quanto è complesso trovare un equilibrio – anche nella formazione degli equipaggi – che soddisfi le esigenze di tutti? È più importante trovare un compromesso ingegneristico o, piuttosto, spetta al pilota adattarsi alla vettura?
Diciamo che il discorso è abbastanza ampio e complesso.
Quando si fanno le scelte dei piloti si parla comunque di persone che seguiamo da tempo. Cerchiamo di farli crescere nel nostro ambiente anche per svilupparne determinate caratteristiche delle quali teniamo conto durante la formazione degli equipaggi.
Facendo l’esempio di un equipaggio di tre piloti come nel WEC: non si possono avere tre velocisti puri. Chiaramente tutti devono essere veloci perché devono vincere delle gare, però comunque ci può essere il pilota più veloce nel giro secco, quello più abile nella gestione gomme o quello con più capacità di sviluppare la vettura.
Si cerca sempre di mettere insieme tutti questi “mix” con le caratteristiche di ognuno in modo da ottimizzare la qualità complessiva dell’equipaggio e far sì che sia completo sotto ogni punto di vista.
È vero che gli ingegneri vorrebbero sempre andare forte, ma hanno anche bisogno di piloti che sappiano dare indicazioni preziose su come far crescere la vettura o sulle strategie. Ad oggi un altro aspetto imprescindibile per la crescita di una macchina e di un team è il simulatore, quindi cerchiamo anche piloti in grado di trarne il massimo vantaggio.
È l’insieme di tutti questi aspetti che alla fine farà sì che l’equipaggio sia più o meno competitivo, ma è molto complicato cercare di mettere insieme tutte queste caratteristiche sopra citate, banalmente perché prima di tutto bisogna avere piloti all’interno del proprio paniere che le abbiano.
Capita molte volte che noi intravediamo determinati piloti con alcune caratteristiche e sufficientemente giovani da consentirci di lavorarci insieme e farli crescere, ricollegandoci al discorso sulla formazione interna. Esempi attuali di questo tipo possono essere Yifei Ye, già pilota ufficiale sulla 499P #83, o Alessio Rovera, che oltre che a vari campionati GT sta partecipando anche a competizioni su vetture LMP2.
Siamo molto attivi su questo aspetto, crediamo molto nella crescita dei piloti “in casa”.

Ancora un’ultima domanda, di ordine un po’ più generale: alcuni possono considerare le vetture GT come una sorta di “ripiego” per chi non riesce a proseguire la carriera nelle monoposto. Quanto è distante dalla realtà questa visione, e in che modo si può sfatare questo luogo comune?
Sicuramente il pilota giovane ha l’ambizione di arrivare in Formula 1, ma sappiamo bene che lì ci sono appena 20 posti. Ci sono quindi mille difficoltà per arrivarci.
Trovo però che ultimamente il “mood” sta cambiando: considerare le gare endurance di “serie B” è errato, è semplicemente una disciplina diversa e credo che debba essere considerata in parallelo molto importante ed affascinante.
Sicuramente l’endurance inteso come gare di prototipi è più importante del GT, su questo non c’è dubbio, ma il GT è sicuramente una valida base sulla quale cimentarsi e fare delle esperienze importanti, perché poi ti dà l’opportunità di lavorare con dei costruttori, cosa che in monoposto non hai.
Oggi in monoposto ci sono solo categorie dove tutti gareggiano con lo stesso telaio, motore e gomme, tranne ovviamente in Formula 1.
Sembra quasi paradossale: chi riesce ad arrivarci non ha mai avuto l’opportunità di districarsi nell’ambito di sviluppo e crescita di una vettura, ma ci si concentra soltanto sulla crescita di te stesso come pilota, o sull’ottimizzazione della macchina che ti viene data. Questo si distacca un po’ dal concetto di automobilismo di alcune decadi passate, dove anche in Formula 2 o Formula 3 c’erano telai differenti tra le varie squadre.
Nel GT invece il pilota lavora su macchine totalmente differenti le une dalle altre e ha l’opportunità di fare esperienze che consentono di sviluppare diverse doti di sensibilità tecnica.
Per chi ha la fortuna di arrivarci l’ultimo step è rappresentato dall’arrivo nei prototipi, e lì si corre comunque principalmente in squadre ufficiali, essendo le auto private in netta minoranza. Di conseguenza il pilota si trova ad interagire in modo molto attivo con la parte ingegneristica a 360 gradi; quindi, questa non può essere assolutamente considerata una scelta “di serie B”.
La dimostrazione di questo è rappresentata dal fatto che ad oggi molti piloti che sono passati dal mondo della Formula 1 sono nell’ambiente delle corse endurance, e anche qui non sono arrivati facilmente: anche noi abbiamo ricevuto molte richieste di piloti ex-Formula 1 o comunque in procinto di salirci, ma abbiamo preferito tenere i nostri.
Questo conferma che la carriera nel mondo dei GT non rappresenta assolutamente un ripiego, altrimenti se fosse così tutti i piloti passati dalla massima categoria formulistica verrebbero presi subito.
Il fatto che invece non è così sta a testimoniare il fatto che l’endurance ha una sua dignità ed una sua complessità, e come in tutte le discipline quando si arriva sul gradino più alto c’è bisogno delle eccellenze, e queste si formano sul campo.
Un’eccellenza dell’endurance deve essere considerata tale anche se non è necessariamente passata dalla Formula 1, si parla comunque di eccellenze.
Ecco, a proposito, quanto conta l’adattamento tra categorie così diverse? Le vetture formula e le GT richiedono tecniche di guida molto differenti e presentano componenti di difficoltà diverse, no?
Certamente, ma alla fine i campioni riescono sempre ad emergere. Sicuramente bisogna adattarsi al mezzo che si ha, su questo non c’è dubbio. Nel caso dell’endurance poi bisogna anche adattarsi al fatto che si hanno dei compagni, quindi bisogna trovare un compromesso a livello di setup e strategie che accontenti tutti i componenti dell’equipaggio, come dicevamo prima. Questa è un’altra complessità che genera maturità nel pilota.
Per questo, come dicevo prima, l’eccellenza c’è anche qui nell’endurance.





